“Campanellino perché non riesco a volare?”
“Peter Pan, per volare hai bisogno di ritrovare i pensieri felici.”
La maggior parte dei ricordi che resistono al tempo sono quelli su cui le emozioni hanno lasciato un’impronta forte, indelebile. A volte basta un profumo, un sapore, un oggetto o un suono ed ecco che, come per magia, un preciso momento racchiuso nel cuore del passato torna a vivere nel presente.
Si chiama Sindrome di Proust e prende il nome dal celebre autore di “Alla ricerca del tempo perduto” che descrisse per primo questo meccanismo di rievocazione di ricordi nitidi connessi ad emozioni già vissute.
“Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati madelaine, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della madelein. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita… non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. È tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. È stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta, a mia disposizione ( e proprio ora ), per uno schiarimento decisivo. Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità… retrocedo mentalmente all’istante in cui ho preso la prima cucchiaiata di tè. Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova chiarezza. Chiedo al mio spirito uno sforzo di più… ma mi accorgo della fatica del mio spirito che non riesce; allora lo obbligo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a rimettersi in forze prima di un supremo tentativo. Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi…All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio.”
(Marcel Proust, Dalla parte di Swann)
Esiste la possibilità di riutilizzare la memoria episodica involontaria e quindi di rievocare i ricordi piacevoli del passato per nutrirci della loro energia quando ne abbiamo più bisogno?
Uno studio condotto presso la Brown University Medical School ha sottolineato il ruolo benefico della rievocazione della memoria episodica piacevole sulla riduzione dello stress e sull’aumento della percezione di benessere e motivazione personale. Mentre Peter Pan aveva bisogno di pensieri felici per volare, noi abbiamo ricevuto in dono le chiavi per poter aprire, in modo involontario e volontario, la scatola dei ricordi e nutrirci delle sensazioni piacevoli che portano con sé.
Dobbiamo prestare particolare attenzione nel ricordare quali sono “le chiavi”, e quindi i profumi, i suoni, i sapori, gli oggetti che costituiscono i nostri personali passaporti per tornare con la mente e il cuore a quel preciso ricordo che ci ha reso felici. Ognuno ha le proprie chiavi e, a volte, basta darci il permesso di usarle, di fermare la nostra giornata frenetica per vivere il benessere magico che riescono ad evocare.
La scatola dei ricordi è un atto di gentilezza verso noi stessi, la possibilità di rievocare e accogliere quello specifico ricordo felice capace di darci la giusta carica per affrontare il mondo.
Bibliografia:
P. Gisquet-Verrier, D.C. Riccio, Proust and involuntary retrieval, Front Psychol. 2024
R.S.Hertz, The Role of Odor-Evoked Memory in Psychological and Physiological Health, Brain Sci. 2016
L. Rowland, O.S.Curry, A range of kindness activities boost happiness, J Soc Psychol. 2019
Silvia Iovine Giornalista – Responsabile Ufficio Stampa D.O.S.E.®
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